Cicerone: il primo vero folosofo romano

Marco Tullio Cicerone, o semplicemente Cicerone, è stato uno statista, oratore, avvocato, politico ma soprattutto filosofo Latino.
Conosciamo meglio questo grande uomo del passato.
La vita
Nacque verso il termine del secondo secolo avanti Cristo nei pressi dell’attuale città di Sora, a circa cento chilometri di distanza da Roma, in località Arpinum (attuale Arpino). Gli abitanti di tali località, situate nelle immediate vicinanze della Capitale, avevano ottenuto già da qualche secondo la civitas sine suffragio: status che permetteva loro di partecipare attivamente alla vita sociale e culturale della repubblica e di poter utilizzare la lingua latina come idioma ufficiale.
Tuttavia ad Arpinum era previsto anche l’insegnamento della lingua greca, in quanto considerata degna di interesse da parte della nobiltà: una lingua resa ricca da secoli di cultura in ambito politico e filosofico. In questo contesto fu possibile l’ascesa di Cicerone nella scala gerarchica della vita pubblica romana. Il giovane Cicerone, già interessato alle scienze ed alla cultura, fu portato da suo padre a Roma, che scommesso che avrebbe potuto fare uso della conoscenza dei migliori insegnanti.
Nel proprio curriculum studiorum, Cicerone può vantare di essere stato formato sotto dei veri e propri mostri sacri della cultura Latina. A mero titolo esemplificativo, il suo maestro di arte oratoria fu Lucio Licinio Crasso, al quale Cicerone era molto legato, mentre il suo mentore nella giurisprudenza fu Quinto Muzio Scevola. Durante il corso degli studi conobbe quello che divenne il suo amico fraterno: Tito Pomponio Attico (Il cognomen venne aggiunto dopo la sua lunga permanenza nella capitale Greca).
Grazie alla sua profonda conoscenza della lingua greca, gli fu possibile attingere all’ampio bacino di vocaboli relativi a tale disciplina per redigere quello che divenne il primo vocabolario filosofico in lingua Latina (al quale la tradizione filosofica occidentale deve l’ introduzione di termini come moralis, qualitas, notio e molti altri). Il momento in cui la carriera di Cicerone virò sensibilmente verso l’arte filosofica è sicuramente quello in cui incontrò, insieme al suo amico Tito Pomponio Attico, il filosofo epicureo Fedro in visita a Roma. Tuttavia, dei due, solo Tito Pomponio rimase un fermo sostenitore dell’epicureismo per tutta la sua vita, diversamente Cicerone rimase talmente attratto dalla corrente Platonica da arrivare a considerare Platone come un Dio. La ragione di questo profondo cambiamento di punto di vista deriva dall’incontro con il maestro di retorica Apollonio Molone e Filone di Larissa, quest’ultimo era infatti a capo dell’Accademia Platonica di Atene, fondata dal medesimo Platone nel quarto secolo avanti Cristo.
La filosofia ciceroniana
Si può certamente affermare che Cicerone fu il primo autore romano a comporre opere filosofiche in lingua latina e ne andava estremamente fiero pur sapendo che la dedizione a tali attività, secondo una parte della cittadinanza, non era molto apprezzabile sia perché era ritenuto disdicevole dedicarvi troppo tempo, che perché almeno fino a quell’epoca il livello della filosofia Greca era considerato certamente inarrivabile. Cicerone era invece convinto che, con il dovuto impegno, la filosofia latina avrebbe potuto eguagliare in qualità quella greca, così come era già avvenuto per l’arte retorica. A differenza però del popolo Greco amante della cultura, anche fine a se stessa, quello romano era molto più pragmatico, alla continua ricerca di gloria e ricchezza, valori ben più materiali che ideali. Al fine di limitare la diffusione della filosofia, la nobiltà romana arrivò a cacciare dall’urbe tutti i filosofi greci in quel momento in visita, salvo poi richiamarli per ottenere delle vere e proprie lezioni in forma privata.
Proprio per la scalata del cursum honorum cui Cicerone dedicò tutte le sue energie dalla propria gioventù fino all’età matura, ma anche per questa visione scettica della cittadinanza romana verso la filosofia, Cicerone si riuscì a dedicare all’attività di produzione solo in età avanzata. Gran parte dei suoi libri fu infatti scritta nell’arco di due anni, tra il 46 ed il 44 avanti Cristo, quando nella concomitanza della vittoria di Gaio Giulio Cesare con la conseguente instaurazione di un sistema monarchico assolutista, il divorzio dalla moglie Terenzia e la morte di sua figlia Tullia, la filosofia rappresentò una vera e propria medicina per la sua anima.
Ad un’attenta analisi, si può facilmente comprendere come i contenuti delle opere di Cicerone non siano del tutto innovativi rispetto agli elaborati dei maestri filosofi greci: egli infatti condivide l’idea diffusa tra gli intellettuali del suo tempo che le alternative filosofiche fondamentali siano già definite. Il problema non è dunque quello di trovare nuove filosofie o formulare nuove teorie in base alle quali organizzare la propria vita: si tratta soltanto di valutarle e di metterle in pratica.
Lo strumento letterario di cui Cicerone si avvale nella sua opera di diffusione della filosofia greca non é la poesia , ma il dialogo. Attingendo infatti alla propria lunga esperienza forense ed alla relativa pratica giudiziaria, Cicerone riteneva infatti che il metodo migliore di studio fosse quello di esporre argomentazioni opposte, pro e contro una determinata tesi, proprio come in un tribunale ognuna delle parti può esprimere il proprio punto di vista. Cicerone fa propria questa tecnica di discussione, già presente nell’Accademia scettica, in quando garante di un approccio di tipo libero al problema.
Tale approccio lascia infatti liberi di formulare un proprio giudizio dopo aver attentamente ascoltato le parti in causa a differenza dalle altre maggiori scuole filosofiche dell’epoca, e che si stavano maggiormente radicando a Roma come quella stoica e quella epicurea, che richiedono invece ai loro adepti un cieco asservimento verso la dottrina della scuola stessa. Secondo Cicerone infatti, solo dopo aver partecipato al confronto tra convinti sostenitori di due o più tesi opposte, si può ritenere di essersi almeno avvicinati al vero, o almeno al probabile. In questa ottica, il lavoro di Cicerone rappresenta il nuovo, un punto di vista in linea con la figura del cittadino romano di ceto elevato che non può asservirsi ciecamente alla dottrina di un’unica scuola di pensiero ma si sente in dovere di opporre il giudizio libero, tipico della tradizione Romana. Questo approccio fa si che Roma diventi un vero e proprio arbitro delle contese filosofiche dei filosofi greci in contrasto tra di loro!
Il tenore degli scritti di Cicerone sulla Repubblica e sulle leggi si discosta sensibilmente dalla pratica di discussione e confronto tra tesi diverse messe in contrapposizione, concentrandosi invece su dottrine di tipo positivo dove la contrapposizione non è prevista, in quanto deve emergere esclusivamente un’immagine globale di unione e di armonia in merito alle antiche tradizioni e la concordia tra i vari ceti, che in definitiva sono il simbolo e la pietra angolare della grandezza di Roma, oltre a rappresentare il modello ed il programma politico di quell’epoca.
In merito ai comportamenti da attuare nella vita quotidiana, Cicerone infine sostiene che la soluzione più adeguata sia quella di far coesistere virtù ed utilità in un equilibrato connubio.
Se vuoi saperne di più sulla filosofia latina dell’epoca, continua con Marco Aurelio.