Arnaldo Volpicelli: alfiere del corporativismo in Italia

Arnaldo Volpicelli fu uno dei maggiori filosofi italiani e un grande sostenitore del corporativismo.
Andiamo a saperne di più su questo personaggio.
La vita
Arnaldo Volpicelli, figlio del diciannovesimo secolo e precursore del Corporativismo in Italia nasce a Roma da famiglia agiata e, come accadde per il fratello minore Luigi nel campo della pedagogia, diventerà nel periodo tra i due conflitti mondiali un punto di riferimento nel panorama filosofico Italiano.
Volpicelli partecipa infatti alla prima guerra mondiale con il grado di sottotenente, riuscendo anche a conquistare sul campo di battaglia la croce al merito. Al termine della guerra riprende gli studi interrotti e si laurea prima in giurisprudenza e poi in lettere e filosofia, nel 1923. La sua passione per quest’ultima materia lo porta a scegliere la docenza come impostazione di vita e la ottiene nel 1925, nello stesso anno in cui si iscrive al Partito Nazionale Fascista.
I suoi primi incarichi accademici sono svolti all’interno delle università di Urbino e poi in quella di Pisa. Il suo lavoro universitario tra le due guerre viene posto sotto osservazione quando nel 1944, con la caduta del fascismo in Italia, si assisteva ad un periodo di epurazione intellettuale. Dopo essere stato prosciolto da ogni accusa di apologia di fascismo, riesce finalmente ad insegnare della facoltà di Scienze Politiche della Sapienza di Roma fino al suo pensionamento, nel 1967. L’autore muore nell’agosto dell’anno successivo.
La filosofia
Il lavoro filosofico del Volpicelli nasce come risposta alla crisi del moderno stato liberale e verte sul Corporativismo di cui l’autore è uno dei più ferventi sostenitori. La riflessione di fondo presente nel pensiero di Volpicelli è quella di superare la separazione netta dello Stato rispetto alla società, considerando tali entità come un unicum indivisibile. Nel suo lavoro Volpicelli si ispira a quello che rappresenta il suo mentore, Santi Romano, ed il suo istituzionalismo (dottrina in cui il diritto sorge direttamente dalle istituzioni che lo generano), andando però oltre tale concezione del diritto.
Una diversa lettura del rapporto tra la società e lo stato è la vera pietra miliare da cui parte il lavoro davvero originale di Volpicelli. Secondo il filosofo infatti, una eventuale assunzione autoritaria delle istituzioni e dei rapporti nello Stato, può avere luogo soltanto in presenza di una vera e propria organizzazione autarchica dello stesso. In tale situazione infatti è lo Stato a risucchiare al suo interno la società, ma come insegna la storia l’assorbimento di sempre maggiori poteri porta inevitabilmente ad un punto di rottura che risulta essere fatale. Per questo motivo è indispensabile riorganizzare il diritto pubblico e privato arrivando ad una unione di fatto.
Il pensiero di Volpicelli è assimilabile quindi a quello di Santi Romano, il quale affermava un concetto di diritto innovativo in cui il fine non è quello di regolare di volta in volta i rapporti tra gli individui, piuttosto quello di rappresentare un’organizzazione permanente e definiva degli stessi. In poche parole il fine ultimo del diritto non deve essere l’individuo ma la società.
Romano però non accetta l’idea del Volpicelli relativa ad una fusione di diritto pubblico e privato in quanto il rapporto tra tali ambiti rischia di toccare troppo da vicino gli interi del settore privato, minando al contempo uno status quo che regge da troppo tempo.
Questa innovativa proposta in ambito di diritto corporativo di identità tra l’individuo e lo Stato, in estrema sintesi, è di certo la maggiore novità scientifica degli anni trenta del XX secolo. Volpicelli viene considerato dalla commissione che lo valuta per la promozione a professore ordinario, presieduta dallo stesso Romano, come uno studioso di grande ingegno e dal carattere estremamente passionale: caratteristiche che se da un lato danno una grandissima spinta al suo lavoro, dall’altro lo portano ad alte punte di polemica che gli fanno perdere l’obiettività. Lo studioso infatti non riesce ad andare oltre la sua teorizzazione del superamento della visione dualistica tra Stato e società.
Tra le ragioni di questo impedimento ci sono sicuramente il contesto culturale fascista che, in quanto tradizionalista, teme le eventuali pericolose interpretazioni che possono derivare in ambito corporativo. Tra le maggiori pubblicazioni del filosofo vanno senz’altro ricordate “Natura e spirito” che rappresenta la sua prima opera e “Corporativismo e scienza giuridica”.
Una sorte più o meno simile è toccato a Alexandre Kyoré, le cui opere e pensieri in epoca nazista, sono state spesso mal interpretate.