Alexandre Koyré, Dal mondo chiuso all’universo infinito: breve recensione

Gli appassionati di filosofia sanno bene che esistono pensatori che più di altri sono riusciti ad influenzare la storia dell’uomo e la cultura odierna.
Tra questi non può non occupare un posto d’onore Alexandre Koyré.
La vita
Alexandre Koyré, filosofo russo ma di origini ebraiche, si occupò di notevole ricerche sulla storia della filosofia e che si impegnò per la diffusione del pensiero classico nel mondo occidentale. Sebbene non si sappia molto sulla vita di questo autore e sui diversi spostamenti che si trovò costretto ad affrontare, sappiamo per certo che compose diverse opere di divulgazione, in cui si impegnò non soltanto a riassumere i punti fondamentali del pensiero di alcuni dei più noti autori di ogni tempo, ma anche ad esprimere il proprio originalissimo punto di vista sulle questioni più dibattute del primo Novecento. Una delle opere più interessanti di questo autore è certamente “Dal mondo chiuso all’universo infinito”. Analizziamo insieme questa nota opera e cerchiamo di comprendere quali siano le motivazioni che hanno spinto Alexandre Koyré a dedicarsi a questo trattato. Di Kyoré abbiamo anche già analizzato Lezioni su Cartesio.
L’opera
“Dal mondo chiuso all’universo infinito” è una delle opere di maggior successo di Alexandre Koyré. Il motivo di un’accoglienza particolarmente calorosa di quest’opera sin dai primi anni dalla composizione è da ricercare nella capacità, da parte dell’autore, di riassumere la storia della filosofia dal Rinascimento alla contemporaneità. Nei diversi capitoli, infatti, Koyré passa in rassegna pensatori del calibro di Cusano, Newton e Cartesio, senza dimenticare di aggiungere una critica personale che, laddove non esplicitata, non può non emergere tra le righe.
Il problema da cui parte il filosofo russo è il seguente: l’infinito come concetto filosofico può essere attuato nell’infinità del cosmo o è destinato a rimanere un concetto astratto? Rispondere ad un simile interrogativo non era semplice ma, per cercare di trovare una risposta al suo quesito, Alexandre Koyré risale al problema dell’infinità dello spazio e si concentra su quella dimensione che sarebbe poi stata immaginata da Newton come spazio assoluto, dotato di attributi divini. Uno dei problemi che si presentano immediatamente all’occhio di Koyré riguarda l’azione causale di Dio sull’Universo. In altre parole, il filosofo si chiede se sia stata effettivamente necessaria la presenza di Dio al momento della Creazione e se, invece, questa idea di Dio non sia stata una pura necessità da parte degli uomini per trovare un punto di origine delle cose. L’origine dell’Universo viene mostrata da Alexandre Koyré come inseparabile dal principio di inerzia, il quale necessita di un moto rettilineo che sia infinito e, pertanto, aperto. All’opposto, si dovrebbe parlare di un moto circolare, chiuso e di stampo aristotelico, ormai decisamente sorpassato in quanto incapace di rispondere alle idee dell’uomo moderno.
Analizzando il pensiero dei diversi filosofi che compongono la ricerca di Alexandre Koyré si arriva alla conclusione che lo spazio come percepito dai moderni, cioè fisico e materializzato, è inseparabile dall’eternità della materia, interpretata adesso come sostanza divinizzata e autosufficiente. Questa conclusione, in particolare, risulta interessante per chi conosce la storia della filosofia, almeno in generale. Ammettere la presenza di una materia autosufficiente significa eliminare la presenza di Dio al momento della creazione e credere nell’esistenza di un Universo che si è creato autonomamente e che allo stesso modo potrebbe distruggersi.
Si parla quindi di meccanicismo, cioè di una forte presenza della causalità che rende impossibile una riflessione sull’essere e sulla sua conservazione. L’azione di Dio diventa così meno significativa, almeno in un primo momento della riflessione, per poi divenire del tutto inutile se si pensa che la materia possa essere eterna. La riflessione fatta da Alexandre Koyré in questo libro si conclude con questa affermazione ma ciò non significa che l’autore non tornerà sull’argomento. Al contrario, nei trattati scritti negli anni successivi e fino alla morte, il filosofo riflette sulla cosmologia einsteiniana e ritorna al pensiero aristotelico e medievale, compiendo quindi un passo indietro rispetto alla ricerca mostrata nel testo di cui abbiamo parlato ma questa è un’altra storia.
Occorre sempre ricordare che Alexandre Koyré non era certo nuovo alla critica filosofica. L’opera qui analizzata, infatti, non è altro che uno dei molteplici trattati firmati dall’autore e pubblicati, sia nel corso della vita che dopo la morte per volere dei suoi seguaci, in cui l’autore si interroga sul senso della vita e sull’esistenza di Dio.
Una facile riflessione che si potrebbe fare a questo punto potrebbe riguardare il contesto storico in cui Alexandre Koyré si muoveva: perseguitato dai nazisti per le sue origini ebraiche e costretto a far perdere le tracce di sé per avere la possibilità di sopravvivere allo scontro mondiale, il filosofo non poté fare a meno di chiedersi chi e perché avesse permesso che simili orrori venissero compiuti.
Questa osservazione, solo apparentemente banale, ci fa comprendere quanto il filosofo fosse calato nella realtà e in grado di osservare con occhio critico i diversi mutamenti del mondo che lo circondava. Se è vero che molti sono convinti che questo autore non possa essere considerato a sua volta un filosofo ma soltanto un critico della filosofia, in quanto non ha mai dichiarato un proprio sistema o un programma filosofico organico, è anche vero che è innegabile il contributo che ha dato alla ricerca contemporanea e che le sue riflessioni hanno ispirato un discreto numero di seguaci.
Leggere un’opera come “Dal mondo chiuso all’universo infinito” permette quindi di fare una panoramica sulla storia della filosofia, apprendendo dalle riflessioni dell’autore un punto di vista nuovo, certamente curioso e ideale come spunto di ricerca.